
Osservando sempre più da vicino il fenomeno social non solo dal punto di vista della dipendenza capita sempre più spesso da insegnante di vedere cosa i nostri studenti scrivono o, meglio, condividono sui social. Lo scorso anno ho monitorato due mie quinte classi di studenti praticamente maggiorenni e sono arrivato a delle conclusioni che lasciano riflettere.
la prima riguarda la lunghezza dei testi. Mettendo da parte i 160 caratteri di twitter che gli adolescenti non usano, c’è da capire come mai spesso non si vada oltre le 4 righe di testo. Persino Facebook riduce la visibilità, nasconde, il testo oltre le prime 5 righe quasi per invitare alla sintesi. Se da un lato la sintesi sembra essere una virtù dall’altro spesso essa non riesce a fare esprimere creativamente chi avrebbe intenzione di scrivere un testo per comunicare qualcosa di interessante. Si finisce così per scrivere frasi fatte, per usare banali copia e incolla, per condividere articoli di giornale che a loro folta ritagliano solo le prime 2 o tre righe.
La chiave di tutto spesso la troviamo proprio nei titoli di giornale che spesso hanno toni scandalistici. L’obiettivo principale, spesso, non è tanto farsi leggere ma farsi condividere. La condivisione e la diffusione sono diventati la metrica principale che spesso misura l’impatto di uno strumento mediatico sul web. E allora capita molto spesso di condividere qualcosa di cui leggiamo solo il titolo, capita spesso di scrivere un testo lungo (capita a me) e di non essere letti proprio per la prolissità. Capita spesso che i social limitino la creatività proprio per il fatto che quasi ci impongono alla sintesi, alla condivisione, al passaparola, ad una bulimia di testi e immagini che spesso passano inosservati.
Accade spesso, quindi, che uno strumento usato da oltre un miliardo di persone nel modo sia solo qualcosa dove pochi scrivono e moti diffondono. E quei pochi che scrivono spesso non fanno alcun esercizio di creatività.
Che sia l’inizio di un appiattimento creativo e sociale ed una omologazione secondo la quale ognuno alla fine si inserisce nel gruppo che più lo rappresenta quasi passivamente? A giudicare dalla moltitudine di gruppi e strumenti di aggregazione spesso viene da dire che la stragrande maggioranza assiste passivamente e viene investita dai contenuti spesso uguali, riscaldati, riveduti e corretti pronti per essere diffusi.
Inutile dire che la pigrizia sulla produzione di contenuti e sul consumo reale si riversa anche sul resto delle attività e sullo studio. Gli studenti manifestano insofferenza di fronte a testi lunghi sui libri, producono temi con brevi testi, si fermano all’essenziale e spesso non emerge il dono del pensiero critico e dell’argomentazione efficace.