il racconto di natale
9:10 am, 24 Dicembre 18 calendario

Il racconto di Natale “La festa degli altri”

Di: Redazione Metronews
condividi

Il botto improvviso di un tappo che saltava e uno scoppio di grida fecero sussultare il bambino che cominciò a piangere disperatamente.
La giovane mamma coricata accanto a lui se lo strinse al petto.
– Che cosa è stato?
Il marito l’abbracciò.
–  Niente amore mio, niente, sembra che qua fuori ci sia una festa. Cerca di dormire, che sei sfinita.
Lei chiuse gli occhi segnati da due profonde occhiaie, sospirò e li riaprì.
– Non ce la faccio. Troppi pensieri. Guarda, si è calmato. Non è bellissimo?
Lui allungò un mano e sfiorò la testa del bambino. – È il più bello del mondo.
– Ma che festa è? Che vedi?
L’uomo si alzò e andò a sbirciare fuori.
– Ci sono molte persone vestite bene… confusione, bambini che corrono, tante luci… aspetta aspetta, mi pare che stiano venendo qui!
Lei sbarrò gli occhi e sorrise: – Qui da noi? Vengono a vedere il nostro bambino? 
***
Il nonno aveva tentato come ogni anno di mettere i regali vicino al presepe, ma sua figlia li aveva spostati anche questa volta sotto l’albero. “Papà come te lo devo dire che la tradizione è questa”, gli aveva detto. Tradizione un corno. Per lui la tradizione era il presepe e basta. Ogni anno il compito di prepararlo era suo, e lo prendeva molto sul serio. Per esempio lui non lo faceva mai uguale a quello del Natale precedente, nossignori. Le statuine erano sempre le stesse, ci mancherebbe, ma quasi tutto il resto era nuovo, frutto delle sue mani, e questa volta aveva superato se stesso. Un bel cielo blu scuro fatto di carta bucherellata dietro la quale aveva acceso una lampadina: al buio l’effetto era bellissimo, come di centinaia di stelline luminose. E le montagne di cartapesta che sembravano vere, e quel capolavoro di mulino, con l’acqua che muoveva la ruota. E la bottega del fabbro, e quella del calzolaio. A parte le montagne, tutto il resto l’aveva fatto con il sughero. Più di un mese, ci aveva messo, chiuso in cantina per diverse ore al giorno, deciso a non fare vedere niente a nessuno prima che tutto fosse perfettamente a posto.
E finalmente aveva approfittato della domenica prima di Natale, in cui tutta la famiglia passava la giornata dai consuoceri, per rimanere a casa a preparare il presepe nel solito angolo del salone. Prima le montagne, poi le casette, il mulino, il pozzo… poi la grotta-capanna, che era l’unica parte dello scenario che non cambiava mai. Una grotta con l’entrata chiusa da un accenno di muretto e uno sbarramento di rami, come certi rifugi di pastori che si vedevano ancora nelle zone più interne della sua terra. Ogni anno, se fra i presenti c’era qualche nuovo parente acquisito, lui gli spiegava: “La tradizione parla sia di capanna che di grotta, ma non c’è contraddizione. Era una grotta-capanna.”
Poi era arrivato il momento di sistemare le statuine. Il fabbro con il martello alzato sull’incudine, il calzolaio curvo sulla scarpa tenuta fra le ginocchia, la donna vicino al pozzo con la mano sul fianco e la giara sulla testa, che ogni volta era un problema perchè era un po’ difettosa e non voleva saperne di stare in piedi, i cammelli, i pastori con le pecorelle. Naturalmente sempre le statuine più grosse davanti e quelle più piccole dietro, per dare l’impressione della lontananza. Poi il Bambinello, Maria e Giuseppe, il bue e l’asinello. E alla fine era venuto il turno di quelle difficili da collocare, lo “Spaventato” con le mani alzate al cielo e i Re Magi. Lo Spaventato ogni volta non sapeva dove metterlo perché non era mai riuscito a scoprire che cosa lo spaventasse, e così lo aveva sistemato vicinissimo a un cammello che sembrava volesse morderlo. Quella dei Magi invece era una faccenda di precisione perché li collocava lontano, fuori dal presepe, e li spostava ogni giorno un po’, sempre della stessa distanza, in modo da farli arrivare a destinazione per l’Epifania.
Sì, gli era venuto particolarmente bene quest’anno il presepe, ed era convinto che se ne sarebbero accorti tutti.
Ma quella domenica sera, quando i suoi erano rientrati a casa, non era andata così.
Suo genero aveva detto  “Bello, anche quest’anno abbiamo il presepe” mentre ci passava davanti senza fermarsi, ed era andato a sedersi davanti alla TV; sua figlia aveva commentato dalla porta con un sorriso “Ecco perchè non sei voluto venire con noi, avevi i tuoi progetti segreti, eh? Bellissimo” e si era infilata in bagno. I due nipotini gli avevano dedicato invece due minuti prima di rinchiudersi nelle loro stanzette. Luca gli aveva chiesto solo “Ma l’acqua gira con un motorino?” e non era sembrato neanche troppo interessato alla risposta, mentre Elena aveva guardato tutto attentamente senza una parola, poi aveva emesso la sentenza: “L’albero però è più bello, per questo ci si mettono i regali sotto”.
Ed era arrivato Natale, poi l’ora di pranzo e con essa gli invitati. Ogni volta che suonava il campanello il nonno si piazzava vicino al presepe, ma gli eccitatissimi e vocianti ospiti carichi di pacchetti si scambiavano abbracci e baci con gli altrettanto eccitatissimi e vocianti padroni di casa, si liberavano velocemente di cappotti e giacconi, gli davano un rapido bacio – “Come sta il nostro nonno?” “Sempre in gamba, eh?”– e prima che lui potesse aprire bocca si erano già precipitati a mettere sotto l’albero i regali che avevano portato.
Poi era seguita la solita rappresentazione di ogni Natale: tanta gente attorno alla tavola splendidamente apparecchiata e allungata per l’occasione con l’aggiunta di assi puntualmente riesumate dalla cantina, un numero enorme di portate, applausi per la cuoca, battute, risate e grida in un crescendo proporzionale al vino bevuto, zii che pretendevano bacini da nipotini recalcitranti le cui urla e disubbidienze erano commentate con ipocrita benevolenza: “Oggi i bambini sono tutti così vivaci”. Le critiche, ferocissime, sarebbero arrivate dopo, in separata sede. E finalmente, dietro l’insistenza dei più giovani, sua figlia aveva proposto “Apriamo i regali?” provocando un terremoto di sedie spostate e una carica selvaggia in direzione dell’albero.
Il nonno si era alzato per ultimo e li aveva seguiti fermandosi però, per protesta,  accanto al suo presepe.
Sua figlia prendeva i pacchi coloratissimi a uno a uno e, se il destinatario era uno dei bambini, non faceva in tempo a leggerne il nome che il regalo le era già stato strappato di mano dall’interessato, sordo alle solite esortazioni del tipo “Come si dice alla zia? Graaazieee”.
Pochi minuti dopo tornò una relativa calma. Anche quest’anno il Natale era stato seppellito sotto una montagna di carta regalo.
***
La donna ripetè la domanda:
– Allora, vengono  a vedere il nostro bambino?
– No, temo di no, Maria.
CARLO BARBIERI
Carlo Barbieri, autore di racconti e thriller, è uno degli opinionisti di Metro
 
 

24 Dicembre 2018
© RIPRODUZIONE RISERVATA