L'addio al re dei supermercati
5:55 pm, 2 Ottobre 16 calendario

Caprotti e l’Esselunga nella storia di Milano e d’Italia

Di: Redazione Metronews
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MILANO Negozi Esselunga chiusi per lutto, lunedì. E funerali in forma riservatissima per il fondatore Bernardo Caprotti, morto venerdì scorso a Milano a quasi 91 anni, proprio alla vigilia della possibile cessione del suo gruppo a fondi esteri (si sono candidati Blackstone e Cvc). Il futuro di questo colosso della grande distribuzione (7 miliardi di fatturato, n°2 dopo Coop) è tutto da scrivere, e se ne saprà qualcosa di più a giorni, quando il notaio Carlo Marchetti di via Agnello svelerà il testamento. Può essere interessante, allora, guardare al glorioso passato di un gruppo che s’intreccia con la storia della città.
Il primo supermercato moderno della storia italiana, un negozio “all’americana”, con parcheggio per i clienti, scaffali forniti di articoli preconfezionati e prepesati (per l’epoca, una rivoluzione delle abitudini di consumo), aprì in viale Regina Giovanna il 27 novembre 1957, alla vigilia del “boom”’. La società si chiamava Supermarkets Italiani S.p.a. ed era costituita per il 51% dai magnati americani Rockefeller, e per il resto da una cordata in cui erano presenti gli industriali tessili della Brianza Bernardo e Guido Caprotti (con il 18%: sarebbero divenuti, qualche anno più tardi, soci di maggioranza), i Crespi, proprietari del Corriere della sera (16%), l’uomo d’affari Marco Brunelli (10%) e la principessa Laetitia Bonconpagni Pecci Blunt con partecipazioni minori. Scoppiò una polemica politica: le sinistre, avversarie del sindaco socialdemocratico Virgilio Ferrari, a capo di una giunta centrista, difendevano a spada tratta il piccolo commercio, col quale fecero di fatto fronte comune. La critica di Pci e Psi, all’opposizione, non era basata soltanto sull’assunto che, per correggere le deficienze della filiera distributiva e le distorsioni dei prezzi, fosse necessario intervenire con la creazione di mercati comunali in funzione calmieratrice e con il sostegno al movimento cooperativo; ma era basata, anche, sulla convinzione che una diffusione senza freni della grande distribuzione avrebbe fatto nascere condizioni di privilegio monopolistico, tali da favorire l’imposizione di livelli arbitrari ai prezzi. C’era anche un’altra preoccupazione, però. Il piccolo commercio era quello che consentiva ai ceti più umili di “mettere in conto” la spesa.
Lo notò anche il quotidiano “Il Giorno”, in un’inchiesta pubblicata il 29 giugno 1958, quando sottolineò la funzione “sociale” e “popolare” dei piccoli esercizi: “Continueranno ad avere una funzione specialmente nei quartieri operai, dove la gente spesso deve acquistare a credito”, mentre il supermercato, “per la sua struttura, esige il pagamento alla consegna”. Era un’altra Italia. Ma i timori del piccolo commercio erano gli stessi che spesso si agitano oggi.
SERGIO RIZZA
sergio.rizza@metroitaly
Twitter: @sergiorizza

2 Ottobre 2016
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