Giampaolo Cerri
8:02 pm, 29 Novembre 15 calendario

Il buon senso di Poletti

Di: Redazione Metronews
condividi

Come già toccò a Michel Martone, viceministro del Lavoro del governo di Mario Monti, che definì “sfigati” quanti si laureavano in ritardo, anche l’appello di Giuliano Poletti a diventare dottori in fretta, anche fermandosi alla sola laurea triennale e anche a costo di un voto mediocre, ha generato un pandemonio.
Si è accusato il ministro del Lavoro di volere un’Italia pressapochista, che non aspira alle mete più alte, rinfacciandogli persino di essere un semplice perito agrario, come se decenni di esperienza ai vertici dell’industria cooperativa, non lo abilitassero a esprimersi.
Poletti, invece ha detto una verità semplice, quasi banale.  Oltretutto la riforma che introduceva le lauree su due livelli, cosiddetta del 3+2, introdotta nel 1999, era nata per recuperare terreno proprio sul fronte del lavoro: in molta parte d’Europa, il sistema scolastico termina un anno prima e, di conseguenza, si accede prima all’università. Con le lauree triennali, ossia accorciando di un anno la durata legale di quel titolo, si colmava questo gap, immaginando invece le lauree +2, le specialistiche, per i relativamente pochi interessati a proseguire poi, tramite i dottorati, verso un’occupazione nella ricerca.
L’applicazione di quella legge fu però disastrosa: gli atenei spalmarono i contenuti delle vecchie lauree quadriennali su cinque anni, le aziende accolsero tiepidamente i titoli “brevi”, gli ordini professionali levarono gli scudi verso i dottorini triennali.
Situazione che spinse gli studenti a iscriversi massicciamente alle lauree di secondo livello, di fatto ritardando l’ingresso nel mondo del lavoro.
Oggi, però, che si registrano timidi segnali di ripresa economica dopo aver toccato il fondo di una crisi durissima, serve davvero a un giovane accumulare così tanta formazione superiore, quando in un mercato globalizzato, almeno europeo, ogni anno che passa, registra l’arrivo di agguerriti concorrenti?
Oltretutto l’ultimo rapporto di AlmaLaurea mostra che la differenza di stipendio fra un laureato +3 e uno magistrale, a cinque anni dal conseguimento dell’agognato pezzo di carta, è di soli 16 euro. Ma questo scandalizza meno di una dichiarazione di buon senso.
GIAMPAOLO CERRI
Giornalista @gpcerri

29 Novembre 2015
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Il giornale
Più letto del mondo