Giampiero Gramaglia
6:30 pm, 9 Novembre 15 calendario

La sfida di Francesco

Di: Redazione Metronews
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A sentirlo, viene quasi sempre voglia di gettargli le braccia al collo e stringerlo, con rispetto, in un abbraccio: che parli di santi o di peccatori, di poveri o di omosessuali, di ambiente o di pace; e non cambia molto se chi l’ascolta è un fedele o un laico. Con una semplicità e una chiarezza spesso disarmanti, Francesco dice le cose che ci aspettiamo di sentir dire da un Papa (e che magari ci aspetteremmo di veder fare non solo da un Papa).
Ma, da come lo (mal)trattano in Vaticano, viene il sospetto che molti gli stringerebbero volentieri – metaforicamente – le mani al collo: documenti violati, lettere di critica rese pubbliche, outing di monsignori nel momenti più delicati. Il Papa che i cardinali sono andati a prendere “quasi alla fine del Mondo” dà fastidio e viene ripagato con sgarbi e resistenze neppure troppo passive. Spesso, s’ipotizza uno scontro tra il progressismo di Francesco, o il pauperismo, o addirittura il “comunismo”, e il conservatorismo della Curia, a salvaguardia di dogmi e soprattutto privilegi. Ma è una lettura che non regge a una semplice constatazione: veleni e ostilità avevano pure segnato il pontificato – certo non progressista, dal punto di vista ecclesiale – di Benedetto XVI, fino a indurre il Papa teologo alle clamorose dimissioni.
Un filo rosso unisce Benedetto XVI
e Papa Francesco, così diversi nei percorsi, è la volontà di fare chiarezza
nella gestione del tesoro di Pietro
I Papi passano, la Chiesa resta: è la linea base di ogni resistenza passiva istituzionale, tant’è che si può applicare a varie realtà. Ma se qualcuno si fa da parte più in fretta, è meglio. Perché? Non perché denuncia peccati indifendibili, come la pedofilia e l’omertà; e non perché predica e pure attua i principi sociali cristiani universali, solidarietà, tolleranza, amore per il prossimo; e forse neppure perché esalta il rispetto del creato, che è il rispetto dell’ambiente. Se c’è un filo rosso che unisce Benedetto XVI e Papa Francesco, così diversi nei percorsi, così distanti nell’approccio, è la volontà di fare chiarezza nella gestione del tesoro di Pietro, nella conduzione degli “affari” della Chiesa (che brutta parola!, a Bergoglio deve suonare quasi bestemmia).
“Pecunia non olet” dicono quanti non vogliono rinunciarvi nonostante la puzza di sangue, dolore, ingiustizia. “Oportet ut scandala eveniant”, replica il Papa. Che è scomodo perché dice e fa cose semplici, che tutti capiscono e che tutti possono fare. A patto di rinunciare, per sé e per i propri referenti, a benefici e privilegi.
 
GIAMPIERO GRAMAGLIA
Vicedirettore di Lapresse

9 Novembre 2015
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