Tony Saccucci
5:00 pm, 15 Ottobre 15 calendario

Il marketing e la legge 107

Di: Redazione Metronews
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L’OPINIONE Qualche giorno fa raccontavo alla quinta liceo dei provvedimenti della sinistra storica al governo. Stiamo parlando della fine degli anni Settanta dell’Ottocento. Uno dei più importanti fu la legge Coppino, che prevedeva l’obbligatorietà della scuola elementare gratuita e portava a cinque anni le scuole elementari. Una svolta epocale. La legge reca ancora oggi sui libri di storia il nome di Michele Coppino, ministro della pubblica istruzione che nel 1877 la firmò. Eppure è meno famosa della riforma Gentile, che qualcuno ancora considera l’unica vera riforma che la scuola italiana abbia mai conosciuto. L’ispiratore principale fu Giovanni Gentile, ministro della pubblica istruzione di un Mussolini appena salito al potere. La riforma, emanata nel 1923, sopravvisse anche al crollo del Fascismo. Anche in questo caso il nome della legge è legato al ministro che l’ha firmata. Possiamo andare avanti con esempio più recenti, di riforme anche meno importanti. Il risultato non cambia. La riforma Berlinguer, Moratti, Gelmini. Tutti ministri della pubblica istruzione.
Oggi la riforma dell’istruzione, che a detta di Renzi rappresenta la rivoluzione, si chiama “Buona scuola”. Ho fatto l’esperimento con quella classe alla fine della lezione. Ho chiesto se qualcuno conosceva la riforma Giannini. Gelo, neanche fosse un’interrogazione a sorpresa. Poi ho chiesto se conoscevano la 107. Che? Allora ho provato con la Buona scuola. Ah, la buona scuola. Rincuorati. Per la prima volta nella storia italiana una riforma della scuola non porta il nome del ministro che la firma. La scelta di chiamarla “Buona” è una precisa trovata pubblicitaria. Che non lascia spazio al giudizio. Della riforma Gelmini, la precedente, posso dire che è stata una pessima riforma. Ma risulta difficile da un punto di vista linguistico dire che la buona scuola è cattiva. Perché sembrerebbe violare il principio dei principi: quello di non contraddizione. Dunque, la vera rivoluzione della riforma Giannini è esattamente questa: non porta il nome della ministra che la firma ma si autodefinisce (con una geniale – questa sì – operazione di marketing) buona. Ma tutti sanno che non si deve andare dall’oste a chiedere se è buono il vino.
TONY SACCUCCI
Insegnante e scrittore
Presidente dell’associazione Gessetti Rotti
 

15 Ottobre 2015
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